10/08/2021
Ogni processo di recruiting ha un’onda lunga, spesso poco considerata persino dagli addetti ai lavori, che coinvolge direttamente i responsabili delle risorse umane, che non si limitano a selezionare i nuovi dipendenti, ma devono anche gestirne l’onboarding.
Cosa si intende per processo di onboarding
Il processo di onboarding si riferisce a tutto quanto avviene subito dopo l’assunzione, ovvero al processo che favorisce l’inserimento dei nuovi assunti in azienda.
Le persone, in questa fase, dovrebbero acquisire tutte le conoscenze necessarie a svolgere la loro mansione, con un’introduzione agli aspetti tecnici e un eventuale passaggio di consegne, ma anche entrare in contatto con l’organizzazione interna dell’impresa e comprenderne i meccanismi, per apprendere i fondamenti della cultura aziendale e farla propria.
Se qualcuno di questi elementi è mancante o non viene predisposto al meglio, l’inserimento sarà solo parziale e gli effetti negativi si protrarranno per un periodo indefinito, penalizzando i nuovi arrivati e l’azienda stessa, che non riuscirà a beneficiare di tutto il loro potenziale.
L’obiettivo dell’onboarding, infatti, è strategico: vuole offrire ai nuovi dipendenti tutti gli strumenti utili a essere perfettamente operativi e integrati, così da garantire performance di valore nel tempo.
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Tutte le fasi dell’onboarding in azienda
Un processo, appunto, che consta di stadi ben precisi, che ciascun HR dovrebbe programmare con cura verificandone l’efficacia di volta in volta. Ecco una scaletta utile a gestire al meglio l’onboarding:
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Fissare scadenze e pensare nel dettaglio la trasmissione delle conoscenze necessarie ai neoassunti, così da sapere quando e come apprenderanno tecniche e strategie aziendali.
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Predisporre un vademecum che dia accesso a tutte le informazioni organizzative importanti: servizi aziendali, benefit, orario di lavoro, pause, spazi lavorativi e gestione del personale.
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Pensare a un inserimento graduale, che valuti la totale autonomia delle persone in qualche settimana e la piena integrazione dopo qualche mese di lavoro quotidiano.
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Coinvolgere sia il management, così da trasmettere tutta l’organizzazione e la presenza strutturale dell’impresa, oltre che competenze sui processi decisionali, sia i colleghi più vicini ai nuovi arrivati, per agevolare il dialogo e il passaggio di competenze.
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Misurare i risultati dell’onboarding sia in itinere, sia alla fine del percorso, per verificarne l’efficacia ed eventuali aggiustamenti futuri.
Quanto dura l’intero processo di onboarding
I passaggi elencati poco sopra sono tutti ugualmente importanti e vanno curati con attenzione, ma fino a quando? L’intera strategia, normalmente, si compie tra i 3 e i 6 mesi: dopo questo periodo, i dipendenti dovrebbero essere operativamente autonomi, produttivi, e parte attiva del proprio gruppo di lavoro.
Le settimane più critiche sono generalmente le prime, in cui il rischio è quello di non riuscire a coinvolgere i nuovi arrivati e di ottenere un effetto boomerang, respingente, controproducente sia per le nuove risorse sia per l’azienda.
Ma, se gestito al meglio, l’onboarding valorizza la produttivà aziendale e l’integrazione culturale dei neoassunti e anche la loro soddisfazione del posto di lavoro.
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